giovedì 26 aprile 2012

Contrappunti/ La carta e i bit. I bit e la carta

PI: Contrappunti/ La carta e i bit. I bit e la carta
Un solo utente, più dispositivi. Compreso il caro vecchio libro analogico. Editori, siete avvisati: avete visto cosa è successo ai discografici? Non rifate gli stessi errori
Contrappunti/ La carta e i bit. I bit e la cartaRoma - Una delle ragioni per cui sono abbonato alla versione digitale de La Repubblica è questa: è stato il primo grande giornale italiano, dopo un periodo di stordimento iniziale che ha colpito tutti gli editori, ad offrire ai lettori un unico abbonamento digitale indipendente dalle piattaforme. Il quotidiano arriva ogni mattina su iPad, sul cellulare, sul desktop del computer. Lui insegue me e io non devo inseguire lui. Oggi sembra banale ma c'è stato un periodo in cui non lo era affatto e gli editori avevano immaginato di chiedere abbonamenti diversi per lo stesso prodotto su differenti piattaforme. Poi sono rinsaviti.

Una delle ragioni per cui sono abbonato a Internazionale è che ogni abbonato alla versione cartacea del settimanale (sottoposto come tutti alle paturnie del sistema postale italiano) riceve, compreso nel prezzo, l'accesso immediato alla versione digitale del magazine. Probabilmente in futuro non sarà più così, ma per ora ci sono momenti e luoghi nei quali la lettura su carta continua ad avere un senso, altri nei quali la velocità e l'immediatezza del giornale di bit prevalgono.

Qualche giorno fa Nicholas Carr sul suo blog citava il caso dei dischi di vinile all'interno dei quali alcune case discografiche hanno iniziato a inserire credenziali che consentono agli acquirenti di scaricare la medesima musica in formato digitale: una sorta di mutuo soccorso dove il mondo dei bit soccorre quello dei supporti, magari affascinanti ma ormai preferiti solo da una nicchia di audiofili più o meno raffinati. In attesa che le cose cambino definitivamente vecchio e nuovo ambiente giustamente si completano l'un l'altro.
Lo stesso vado ripetendo da tempo per i libri elettronici e lo stesso fa Carr nel suo articolo citato: in molti casi un certo numero di lettori (e io fra loro) sarebbero disposti a pagare il prezzo della versione cartacea di un libro a patto che all'interno di quel medesimo prezzo fosse compresa anche la versione elettronica: posso pagare (forse, e solo in certi casi) il costo di un testo in brossura, magari un romanzo di quelli ingombranti che è scomodo e pesante da portare in viaggio, oppure un manuale o un saggio che desidero poter sottolineare con una matita, ma non comprerò mai lo stesso libro due volte per averlo a disposizione anche in formato digitale.

Il mercato degli ebook mi costringe a scegliere, e un numero sempre maggiore di persone nel mondo sceglie la versione digitale. Così facendo il nuovo mercato in espansione cannibalizza quello non ancora morto dell'editoria cartacea. Nel frattempo gli editori mostrano la tendenza a compiere con esattezza gli stessi errori che l'industria musicale ha compiuto nell'ultimo decennio. Formati non compatibili, DRM, campagne di stampa sulla pirateria canaglia, un corteo di comportamenti noti e che si sperava superati suggeriscono di immaginare gli strateghi del mercato editoriale elettronico come strani esseri appena estratti da un congelatore nel quale sono rimasti ibernati negli ultimi 15 anni.

Invece che tentare di gestire la transizione conducendo i propri lettori a cavallo fra vecchi e nuovi formati, gli editori di libri sembrano oggi in dolorosa balia del nuovo. Razionali conti economici fatti a tavolino, grandi timori e antiche abitudini impediscono di invertire l'assioma secondo il quale il prodotto precede il cliente e la varietà dei formati è un comodo moltiplicatore economico. Per le aziende in cui il valore oggi si trasporta dentro pacchetti di bit sembrerebbe essere vero l'esatto contrario. Il tentativo di lasciare separati ambienti conosciuti ed inediti contesti digitali rischia di aumentare i problemi del periodo di mezzo (che nei paesi a bassa innovazione come il nostro sarà verosimilmente piuttosto lungo) e contribuisce a sedimentare un inutile risentimento verso l'ambiente digitale che non fa bene alle aziende e non giova ai lettori. Occorre elaborare il lutto e come scriveva Franco Carlini molti anni fa "rassegnarsi a collaborare, rassegnarsi alla pace".

Se l'anonimo smentisce l'anonimo

PI: Se l'anonimo smentisce l'anonimo
Roma - Anonymous attacca il sito dell'On. Binetti. E Miss Padania. E pure il sito di un parlamentare UDC. No, contrordine: non è stato Anonymous, e lo dice Anonymous. Quello vero. Ma chi è Anonymous?

la pagina oggetto di defacement sul sito di miss padania

Bella domanda. Forse bisognerebbe spiegare o ricordare a tutti da dove viene Anonymous: nasce su 4chan, in particolare su /b/, e altro non è che la rappresentazione dell'utente che posta su quella bacheca senza inserire uno pseudonimo. Se non sei te stesso, sei anonymous: anonymous è chiunque, anonymous sono io, sei tu, anonymous è nessuno. Anonymous è un'intelligenza collettiva, anarchica, in perenne mutamento, senza capi, con i singoli che entrano e escono come e quando gli pare, con chiamate alle armi fortunate che si trasformano in azioni eclatanti, e altre che muoiono da sole vittime della loro scarsa popolarità senza che il grande pubblico ne sappia nulla.

Gli esordi del "movimento" Anonymous sono dunque su 4chan, e poi sbarcano nel resto della Rete quando inizia la fantastica storia di Anonymous contro Scientology (parliamo del 2008): ne abbiamo parlato a lungo su queste pagine, tra manifestazioni davanti alle sedi della confessione delle star e dimostrazioni simboliche online. Il tutto è finito (anche) a carte bollate. Poi la cosa si è andata un po' sgonfiando, e per un po' di Anonymous si è sentito parlare meno. Ma chi resta con le mani in mano, dopo aver scoperto che si può attirare l'attenzione della stampa e dell'opinione pubblica su un tema che gli sta a cuore, semplicemente imbastendo un po' di caos in Rete? Nessuno.
E venne il momento di Wikileaks, dei cablo diplomatici, di Assange e della stretta ai fondi al sito delle soffiate. E allora Anonymous riprese linfa e vitalità: operazione su operazioni (#op le chiamano), assalti a Visa, Mastercard, Paypal. Il cannone a ioni degli anonimi (LOIC) mieteva vittime, prima solo tra chi era direttamente coinvolto nella faccenda Wikileaks, poi allargando il cerchio ad aziende e istituzioni ritenute non in linea con le aspirazioni di volta in volta ecologiste, antiguerrafondaie, anticapitaliste di chi in quel momento si metteva la maschera di Guy Fawkes e utilizzava il vessillo di Anonymous per rivendicare le proprie azioni.

La scelta di Guy Fawkes come feticcio, riprendendo a piene mani l'iconografia di V per Vendetta (pane quotidiano per chi si ritrova nelle idee movimento, manifesto del movimento anarchico soprattuto nella versione graphic novel più che in quella hollywoodiana), non è un caso: nel fumetto e nel film c'è un collettivo fatto da persone di ogni sesso, razza, religione, convinzione politica, che si ritrova unita nella causa comune di rovesciare l'ordine costituito per riportare il potere in mano al popolo. E Anonymous punta a questo: usare la Rete come strumento in mano alla collettività per riportare un po' del potere in mano a pochi nelle mani dei più (se state pensando alla faccenda dell'1 per cento contro il 99 del movimento #occupy, state pensando bene).

Ma non finisce qui, eh: Antisec, LulzSec, la guerra ai Narcos messicani, il movimento #occupy, la primavera araba, la Grecia, ci sono decine di esempi di vicende che hanno attirato l'attenzione degli Anonymous. Gli hacktivisti, il termine coniato per descrivere la nuova forma di protesta che si svolge a cavallo tra dentro e fuori la Rete, sono una comunità variegata: Anonymous è un nome collettivo, dunque all'interno di un movimento magmatico e informe si muovono personaggi di ogni tipo. Ci sono quelli che vogliono combattere il signoraggio bancario, ci sono quelli che vogliono affermare l'importanza di una riforma del diritto d'autore, ci sono coloro che sostengono a spada tratta la libertà di espressione e di informazione. Ciascuno porta avanti la propria "crociata", a volte raccogliendo il plauso di tutto il collettivo, altre volte entrando addirittura in contrasto con altre fazioni e finendo per farsi la guerra tra Anonymous. Un'autentica democratizzazione polverizzata della protesta, bellissima e praticamente illeggibile.

Anonymous è tutto questo. Non ha un capo, un comitato direttivo, un portavoce, una linea politica, una linea editoriale, una linea di comando. Anonymous è una scatola vuota: chiunque può metterci dentro quello che vuole, ciascuno può affermare di essere un Anonymous. Certo, dentro (o dietro) Anonymous ci sono hacker molto in gamba, forse i migliori in circolazione: ma ci sono anche un sacco di script kiddies, neofiti che vengono teleguidati da chi è più esperto di loro o da semplici guide trovate online, che stanno lì per fare numero. E, tutto sommato, la linea che distingue un hack da un crack, una dimostrazione dal teppismo, si sta facendo sempre più sottile: in un epoca in cui ogni giorno vengono lanciati decine di attacchi verso i bersagli più disparati, tenere traccia e garantire l'identificazione delle proteste più significative diventa complicato. Gli Anonymous hanno una dote non comune che è innegabile: sono abilissimi a gestire le relazioni coi mezzi di informazione, sfruttandoli per fare da cassa di risonanza per le loro azioni.

La scena finale di V per Vendetta (solo un link, Youtube non permette l'embed, chissà perché), versione fratelli Wachowski, è il perfetto prototipo di quanto si sta qui sostenendo. "Chi era lui?" chiede l'ispettore. E Natalie Portman gli risponde: "Era Edmond Dantès. Ed era mio padre. E mia madre. Mio fratello. Un mio amico. Era lei. Ero io. Era tutti noi". Anonymous è chiunque, Anonymous sono io, sei tu, Anonymous è nessuno.

Sostenere che gli attivisti italiani smentiscano che a violare il sito dell'On. Binetti sia stato Anonymous è una sciocchezza. Occorre mettersi in testa che non sarà più possibile identificare un colpevole, un mandante per un'azione dimostrativa: Internet è anche questo, che piaccia o no. Ci sarà un esecutore materiale, forse, ma è davvero l'intelligenza collettiva ad essere madre e padre assieme di queste iniziative. Qualunque ricostruzione giornalistica che citi "fonti interne al movimento" è destinata a fallire, a essere smentita dai fatti: uno solo o cento, tutti possono essere Anonymous. Se è stato un singolo personaggio a compiere i gesti di oggi, ha tutto il diritto di firmarsi Anonymous: che agli altri hacktivisti piaccia oppure no, nessuno può smentire o confutare che un'azione come quella di oggi sia davvero o meno un'azione di Anonymous. We are Anonymous.

Luca Annunziata

Italia, prestito digitale senza limiti

PI: Italia, prestito digitale senza limiti
Accordo tra MediaLibrary e BookRepublic per estendere le libertà concesse agli utenti delle biblioteche che prendono in prestito gli ebook: il tutto grazie al watermark lending
Roma - MediaLibraryOnLine (MLOL), il network italiano che raccoglie 2.300 biblioteche pubbliche per la condivisione di contenuti elettronici, potrà offrire in prestito i libri disponibili in digitale senza limiti di tempo e con la sola protezione del social DRM costituito dai contrassegni watermark.

A poco meno di due anni dall'esordio di MLOL, questa novità non da sottovalutare è stata possibile grazie all'accordo raggiunto con BookRepublic, piattaforma di distribuzione e vendita di ebook, in base al quale per i possessori di una tessera bibliotecaria sarà "possibile prendere a prestito ebook dalla biblioteca e trattenerli senza limiti di tempo archiviandoli sul proprio pc, tablet o smartphone".

Il tutto legalmente grazie all'appoggio di alcuni editori che hanno ritenuto più opportuno accogliere le istanze dei consumatori di ebook e di conseguenza provare a combattere la pirateria dei libri digitali concedendo questo tipo di libertà ai lettori ed agevolando il consumo legale degli stessi, provando così a rendere meno appetibile il download illegale di ebook.
Tecnicamente si tratta di mettere nei circuiti bibliotecari ebook contrassegnati con watermark (o Social DRM) che, a differenza di sistemi come DRM Adobe, non pone limiti agli utenti né di tempo né rispetto ai supporti utilizzabili per la loro lettura.
Con i watermark, in pratica, ogni ebook confina al suo interno le informazioni relative alla biblioteca di origine del prestito, all'utente che prende il testo in prestito e al download, rendendo così tracciabili eventuali usi impropri.
Dal punto di vista del circuito bibliotecario, poi, ogni lettore accreditato avrà la possibilità di scaricare un ebook ogni 14 giorni e tale copia rimarrà occupata per i 14 giorni successivi, periodo in cui sarà soltanto prenotabile da altri utenti (a meno che la biblioteca non ne abbia acquistate più copie).

I primi editori a rendere disponibili i loro cataloghi con questa nuova modalità sono 40K, Codice, Edizioni Ambiente ‐ Emmabooks, FAG, Giuntina, Instar / Blu Edizioni ‐ Iperborea, ISBN‐ La Nuova Frontiera, Ledizioni, Leone verde, Maestrale, minimum fax, Nottetempo, Nutrimenti, O barra O, Saggiatore, Stampa Alternativa e Voland.

Il circuito delle biblioteche italiane che offrono contenuti digitali in prestito, insomma, nel suo piccolo (perché sono solo una parte minoritaria del totale) sta presentando un modello innovativo, il watermark lending, notevole per il settore e quasi in controtendenza rispetto ai tanti grattacapi creati da editori che, non volendo rilasciare i loro contenuti senza lucchetti, hanno creato blocchi alla circolazione dei libri in prestito. Da ultimo è stato Penguin Group a cancellare, dopo diversi ripensamenti e problemi, il suo servizio di prestito escludendo le nuove uscite a partire dal 10 febbraio dal circuito bibliotecario statunitense servito dal servizio di distribuzione OverDrive.

Il fondatore di Pirate Bay e la mafia del copyright

Il fondatore di Pirate Bay e la mafia del copyright - Zeus News
Peter Sunde, fondatore ed ex-portavoce di The Pirate Bay, ha scritto un articolo per TorrentFreak in cui cerca di fare luce su che cosa ci sia davvero dietro la lotta alla pirateria.

Lo riportiamo integralmente nella nostra traduzione.

Due giorni fa ho letto la notizia secondo la quale The Pirate Bay sarà probabilmente bloccata nel Regno Unito. È stato deciso dalla Corte Superma, il che è divertente perché uno non si aspetta che un caso venga presentato per la prima volta proprio lì. Sembra che qualcuno abbia voluto risolvere le cose in fretta, il che basta per dar vita a domande e preoccupazioni.

Come molti di voi sapranno, una volta ero il portavoce di The Pirate Bay.

Ho lasciato il sito qualche anno fa per continuare a lavorare su Flattr e altri progetti, ma sono interessato come lo sono sempre stato alle questioni che riguardano il copyright, Internet e la censura. Continuo a seguire questi argomenti e tengo d'occhio le notizie.

Dopo aver dato una scorsa alla decisione della Corte Suprema circa il blocco di Pirate Bay nel Regno Unito, sono stato attirato dalle tattiche dell'accusa. Sembrano sapere chi gestisce il sito, ma per qualche motivo hanno deciso di non includere queste persone nel contenzioso.

Hanno messo insieme una lista di motivi, per lo più sproloqui, a proposito di quanto sia difficile trovare le persone dietro al sito. Ma lo è davvero?

Affermano ancora che io e due vecchi amici restiamo come amministratori, insieme al vecchio padrone dell'ISP che TPB aveva nel 2005. Tuttavia, hanno deciso di non includerci. (Nessuno di noi è davvero un amministratore, cosa che probabilmente sanno. In realtà, una delle persone incluse nella lista potrebbe anche non essere più in vita, sono secoli che non riusciamo a raggiungerlo).

Chi ci accusa dice di sapere quale azienda è proprietaria di TPB, ma ha deciso di non includerla nella denuncia. Chiunque abbia mai dato vita a una società sa che deve indicare un indirizzo, quindi non è poi così difficile trovare un rappresentante dell'azienda. Indirizzi e roba del genere sono sempre informazioni pubbliche.

Dunque, perché non sono inclusi? C'è una ragione più profonda che sta alla base di tutto ciò? Certo che c'è. Il loro interesse principale non è fermare TPB. Sono interessati ad adossare la responsabilità all'industria delle telecomunicazioni.

Gli ISP di solito sono grandi corporation, l'industria delle telco
è, in realtà, molto più grande di qualsiasi azienda di intrattenimento.
Operano su scala globale con miliardi di utenti. Ciò significa che
hanno anche un sacco di soldi e un sacco di potenziali clienti per
l'industria dell'intrattenimento. Se le telco potessero essere indicate
come colpevoli per qualche tipo di reato, e se si dovesse sottoporre
Internet a un regime di polizia, ci sarebbero soltanto due modi
possibili per farlo.


Uno sarebbe chiudere per sempre l'attività, dato che nessuno può essere
certo che niente di illegale attraversi la propria rete. La seconda
opzione consiste nello stringere un accordo con l'industria
dell'intrattenimento.


Proprio come qualsiasi altra mafia, l'industria dell'intrattanimento
vuole i soldi del pizzo. Per evitare le cause legali, le telco dovranno
pagare. O obbligandoli a rivendere un servizio controllato
dall'industria dell'intrattenimento (come Spotify) o imponendo loro un canone mensile per ogni connessione.


La case discografiche hanno già provato a chiedere 10 dollari al mese
per ogni connessione a Internet. Ma gli altri produttori? A loro, in
realtà, non interessa questa domanda. Pornografia, film, blogger, motori
di ricerca sono tutti più grandi della musica in Internet. Quanto
saremo obbligati a pagarli?


Qualche anno fa un ISP irlandese chiamato Eircom bloccò l'accesso a TPB
da parte dei propri utenti. È stato un accordo extragiudiziale di cui
nessuno conosce i dettagli. O Eircom è stato pagato, o Eircom ha pagato.
È pura censura: Eircom ha venduto gli interessi e i diritti dei propri
utenti senza che una corte l'abbia ordinato. Per fortuna, altri ISP si
sono rifiutati di fare altrettanto.


L'industria discografica vuole davvero un caso decisivo per poter
andare a chiedere soldi dall'industria delle telecomunicazioni. Se fanno
causa a TPB non possono obbligare le telco a pagare il pizzo. Non si
tratta di salvare gli artisti: si tratta di controllare il flusso di
denaro e possedere i diritti, cosicché artisti e utenti non vadano da
nessun'altra parte.


È un'industria corrotta che va fermata!






martedì 24 aprile 2012

Diritto d'autore: male, purché se ne parli

PI: Contrappunti/ Diritto d'autore: male, purché se ne parli
Contrappunti/ Diritto d'autore: male, purché se ne parli

di M. Mantellini - Di pirateria, di copia abusiva e legale, parlano tutti. Non sempre centrando il punto, ma non tutto il male viene per nuocere. È ora che questi temi diventino agenda: il futuro non aspetta
Roma - Partiamo da un dato di fato: tutte le discussioni che riguardano il futuro della condivisione della conoscenza attraverso la tecnologia sono discussioni buone. Lo sono per una ragione molto semplice: i conservatori dell'esistente, i pochi potenti imbalsamatori della realtà all'anno zero della Rete, non hanno mai avuto alcuna passione per simili discussioni. Preferiscono un consolatorio "È così e basta" ed il ribaltamento di ogni possibile tavolo dialettico.

Così Contrappunti questa settimana dà conto di una discussione interessante che è nata sulla scia di un articolo dello scrittore Vincenzo Latronico pubblicato dall'inserto culturale domenicale del Corriere della Sera, La Lettura.

Scrive Latronico:

Vorrei parlare di pirateria. Avevo Napster quando è nato; tuttora scarico quello che posso, anche se la musica classica - che costituisce gran parte dei miei ascolti - è difficile da trovare, e in genere finisco per comprarla in versione digitale. Lo stesso vale per i film; vado al cinema spesso, ma tutto ciò che non è in sala lo vedo al computer. Le difficoltà di reperimento, o i problemi di connessione, mi spingerebbero ad abbonarmi a un servizio come Netflix (che negli Stati Uniti fornisce legalmente, dietro un piccolo pagamento, ciò che si può scaricare illegalmente), se in Italia ci fosse; ma forse per miopia legislativa, forse per mancanza di mercato, non c'è: e di comodità si fa vizio. È quasi naturale, si potrebbe quindi dire, che io scarichi i libri. C'è una ragione, però, per cui non sembra tanto naturale: ed è che coi libri io ci vivo, più o meno. In quest'ultimo anno i diritti d'autore hanno rappresentato una percentuale non irrisoria dei miei piuttosto irrisori guadagni. Il fatto che io calpesti un diritto altrui che pure spero nessuno calpesti ai miei danni può essere visto come una dissociazione, o una pia illusione, o un tentativo di free-riding, o un sepolcro imbiancato: poco importa. Lo faccio. So che non dovrei,ma lo faccio. E so, o credo di sapere, che prima o poi lo faranno tutti.

C'è molta carne al fuoco in queste poche righe (e anche nel resto del pezzo) e non ha molta importanza se l'autore abbia torto o ragione. L'importante è che se ne parli, che si confrontino posizioni differenti. Così come è importante che un inserto culturale di un grande quotidiano dia spazio ad argomenti del genere, anche fuori dalla connotazione curiosa dello scrittore autolesionista che sfavorisce se stesso.

Il pezzo di Latronico, che si occupa di molti temi importanti ai quali ci siamo in passato dedicati spesso, ha scatenato una ampia discussione in Rete, fortificata da una serie di coincidenze temporali quali la recente chiusura di Megaupload e di alcuni noti tracker torrent, le discussioni sulla normative americane (SOPA) e mondiali (ACTA) che sono in evidenza nelle cronache dei giornali in questi giorni. Nel piccolo della situazione italiana registriamo che, per la prima volta, girano timide voci di progetti per ridurre lo strapotere inefficace della SIAE, escono numeri molto eloquenti sul passaggio della musica verso il digitale, si aspetta pazientemente che gli editori di libri elettronici percorrano uno ad uno, minuziosamente, tutti gli errori che i loro colleghi discografici hanno commesso nell'ultimo decennio prima di capire, per esempio, che i DRM non sono la soluzione ad un rapporto di buon vicinato con i propri clienti (a meno non si offra loro come contropartita un ambiente complessivo molto ben strutturato ed amichevole come fa Amazon con Kindle).

Ben vengano le discussioni, magari partendo da alcuni punti fermi come quello ricordato da Giuseppe Granieri sul suo blog qualche giorno fa. La pirateria - scrive Granieri - è un fattore di sistema:

Se guardi le cose dal punto di vista del digitale (e non da quello del XX secolo), la pirateria è un fattore di sistema. È parte della natura intrinseca dei beni digitali e non trova una collocazione nella logica con cui siamo abituati a far funzionare il mercato.
Quindi, se devo scommettere la mia solita birra parlando del futuro, io credo che la soluzione non sia combatterla (cosa che assomiglierebbe a remare con un fiammifero) quanto capirla e cercare di immaginare un sistema - per l'intera industria culturale - che ridisegni valore e remunerazioni in modo coerente con il digitale.
Non va combattuta la pirateria (e magari va chiamata anche in un altro modo): vanno aggiornate alla modernità le regole e le categorie interpretative.

Il punto di vista del digitale non è più - da qualche anno ormai - lo sguardo esotico di una porzione residuale della società nei confronti di un mondo immobile. È invece il paradigma di una raggiunta normalità alla quale magari fatichiamo ad adattarci ma che non ha alcuna retroazione possibile. Essere digitali non è più l'angolo di visuale del nerd o la predisposizione sognante dell'innovatore, è invece il terreno di coltura della società contemporanea nel suo complesso. Discutere di come aggiornare il flusso delle idee e della conoscenza dentro questo nuovo network è oggi la vera priorità culturale per tutti noi. Quindi discutiamone.

Massimo Mantellini

lunedì 9 aprile 2012

Come creare blog di testo usando DropBox!

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Vi è sempre piaciuto creare un blog? E’ sempre stato difficile? Adesso c’è un modo più semplice per crearlo, ed è con Calepin.co! Un servizio online completamente gratuito che vi permetterà di creare blog di solo testo sfruttando DropBox!

domenica 8 aprile 2012

Come convertire le pagine web in ePub!

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Vi capita spesso di visitare un sito web ma di non poterlo vedere tutto per via del tempo? Vorreste vederlo più comodamente nel vostro tempo libero? Allora vi presentiamo DotEPUB! Un’estensione completamente gratuita per Google Chrome che vi permetterà di convertire i vostri siti web in epub, formato ebook, in modo da poterli leggere comodamente come ebook nel vostro ebook reader!

sabato 7 aprile 2012

The piano (life is a song)

https://www.youtube.com/watch?v=4Z2ljWwIaHs